SOS Scuola – Caro Babbo Natale… perché leggo lentamente?
Gaia frequenta la terza elementare. Ho incontrato i suoi genitori a gennaio – quasi un anno fa -, al rientro a scuola dopo le vacanze di Natale. Vacanze serene e ben trascorse, prima delle quali, come tanti bambini, Gaia ha scritto la sua letterina per Babbo Natale. I genitori vengono a colloquio proprio con quella letterina in mano. Una letterina che termina così: “(…) Ti chiedo anche un’ultima cosa Babbo Natale: se riesci, mi aiuti a capire perché in classe sono la più lenta di tutti a leggere? A me piace leggere, ma in classe no: sono lenta e tutti ridono (…)”.
La mamma di Gaia si commuove. Racconta che non sono certi che “Gaia creda ancora a Babbo Natale” ma non è questo che interessa. Interessa che Gaia ha trovato un modo, il suo piccolo modo, per esternare un disagio: leggere lentamente davanti a tutti la preoccupa, la mette in crisi.
I genitori ne avevano già parlato a scuola con le maestre e insieme avevano deciso di temporeggiare un pochino, ma ora non si sentono più di temporeggiare.
Decidiamo di intraprendere l’iter valutativo per disturbo specifico dell’apprendimento, al termine del quale viene certifica a Gaia una “Dislessia evolutiva”. I genitori al colloquio di restituzione non sono allarmati o preoccupati, come accade spesso a tante famiglie. Sono fieri in qualche modo che Gaia avesse capito quasi prima di tutti “i grandi” che qualcosa che la disturbava c’era.
“E ora cosa le diciamo? Come glielo spieghiamo?”.
“Dicendo la verità: una verità che Gaia già conosceva!”.
Nel condividere con i bambini una certificazione per Disturbo Specifico dell’Apprendimento non bisogna preoccuparsi di usare grandi paroloni, di dare loro etichette diagnostiche. Serve la verità, ma una verità chiara che possano capire al meglio. Serve utilizzare parole semplici, che possano comprendere, usando magari metafore o esempi altrettanto semplici (“ora abbiamo capito che è come se tu vedessi un pochino meno, come la mamma ad esempio che indossa gli occhiali: e quindi sarà come indossare un paio di occhiali. Usare così uno strumento che ti permetta di vedere come gli altri”). Bisogna spiegare al bambino che non si tratta di una malattia o di qualcosa che lo renderà diverso dagli altri, ma che sarà una sua caratteristica di funzionamento, che ora che è stata evidenziata verrà gestita e integrata. Il bambino dovrà comprendere che un DSA non è un impedimento verso qualcosa, verso un successo nella vita, anzi con lui sarà importante porre luce e attenzione sui punti di forza che invece lo rendono speciale e “più capace degli altri in qualcosa”.
Infine, sarà importante lasciar spazio ai suoi dubbi e alle sue domande… che magari emergeranno strada facendo, dinanzi a traguardi o difficoltà. L’importante sarà ricordare che i bambini si conoscono. Magari non sanno chiamare le cose e le situazioni con il giusto nome, ma per questo ci sarà tempo.
Partiamo da loro, dalla loro percezione e dal loro vissuto. Solo così arriveranno a toccare con mano, come diceva Piaget che “lo scopo dell’insegnamento non è produrre apprendimento, ma produrre condizioni di apprendimento”.
Approfondisci nel Blog:”Dsa fuori dai banchi di scuola: prima della diagnosi“