Chi è Chi? Neuropsichiatra che paura!
La parola neuropsichiatra fa paura. Anzi, diciamolo forte, angoscia i genitori.
“Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero di angolazioni possibili.”
Ari Kiev
(Psichiatra statunitense, 1934-2009)
Se potessi, promuoverei una petizione al fine di trovare un nome “meno terrorizzante” per uno specialista che, invece, racchiude un mondo di sicurezze. Non sempre di risposte o sfere di cristallo – che sono quelle che ciascun genitore, quando si parla del proprio bambino, vorrebbe avere – ma un mondo di rassicurazioni sì. Costruite piano piano, conoscendo il bambino e insieme a lui la sua storia e ciò che gli ruota attorno.
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Forse è proprio l’etimologia del termine che fa paura: neuro e psichiatria. “Neuro” è qualcosa che ha a che fare con il cervello, per cui “sicuramente qualcosa di grave”, “psichiatra” … beh, qui non mancano le certezze dei luoghi comuni: “è per i pazzi”, come conferma (siamo sicuri intenda quello che pensiamo noi?) la definizione Treccani <<specialista delle malattie del sistema nervoso dal punto di vista psichiatrico. Medico specialista in neuropsichiatria.>>. Per cui la conclusione vien da sé: “se il mio bambino sono certo non abbia nulla al cervello e non sia pazzo (tanto da finire in psichiatria, dove per psichiatria si intende quella letta nei libri o vista in tanti film) dal neuropsichiatra non voglio sia visto. Punto.”
A pensarci bene. Che vita difficile. Anni di studi e sacrifici per poter essere di supporto a tanti bambini e poi i genitori di questi bambini ne hanno paura.
Non voglio essere fraintesa, comprendo perfettamente il gelo che pervade ciascun genitore dinanzi al consiglio di “fare una prima visita neuropsichiatrica” per il proprio bimbo. Indicazione che può arrivare dal pediatra, talvolta dalla scuola, altre volte da un semplice “consiglio” di chi sta accanto. Quel gelo rende immobili. Le domande diventano milioni e i pensieri corrono talmente all’impazzata che fermarli diviene impossibile.
Torna quindi il mio desiderio di promuovere una petizione. Mi sono chiesta tante volte, banalizzando forse, perché il timore è minore (anche se ribadirò all’infinito, che quando si parla del proprio bambino in prima persona, anche una visita di controllo dal pediatra talvolta preoccupa) quando viene data indicazione di rivolgersi a un ortopedico o a un dermatologo. Tanti pensieri certo, ma forse meno timori di giudizio. “Se porto il mio bambino dal neuropsichiatra significa che è diverso dagli altri e in partenza dico No!”. Sarebbe un altro immenso e lecito capitolo da affrontare quello emotivo che pervade una mamma e un papà messi dinanzi alle fragilità del proprio bambino, ma oggi voglio provare a rasserenare, per quanto mi sia possibile fare, circa la figura del neuropsichiatra infantile, con l’intento di far sentire meno terrorizzati tutti quei genitori che scelgono, portando con sé le proprie preoccupazioni, di svolgere una prima visita.
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Proviamo ad andare per punti semplici che facciano un pochino di chiarezza.
- Chi è il neuropsichiatra infantile? E’ un medico specialista che si occupa ad ampio spettro delle patologie d’organo del sistema nervoso e dei disagi mentali di bambini e adolescenti, fino ai 16-18 anni circa. Opera nella prevenzione e nella cura delle anomalie dello sviluppo del bambino e dell’adolescente.
- Quale è la sua formazione? A seguito di un diploma quinquennale di scuola secondaria di secondo grado e della Laurea in Medicina e Chirurgia della durata di sei anni, viene svolto un esame di abilitazione a svolgere la professione medica, a seguito del quale è richiesta la frequenza, per cinque anni, della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria infantile, con relativa iscrizione all’Albo.
- Dove opera? Il neuropsichiatra infantile – noto anche come NPI – può operare in libera professione come singolo professionista, all’interno di equipè multidisciplinari – composte da psicologi, psicoterapeuti, logopedisti, terapisti della neuropsicomotricità – presso strutture ospedaliere in ambulatorio o reparto, o presso le ASL (Agenzie Sanitarie Locali) territoriali, svolgendo lavoro clinico a diretto contatto con il paziente e quando necessario in rete – oltre che con la famiglia – anche con la scuola e le realtà che intorno al bambino ruotano.
- Neuropsichiatra è sinonimo di gravità? Assolutamente no. La figura del neuropsichiatra, in quanto medico specializzato, lavora molto spesso in equipè con altri professionisti dell’età evolutiva al fine di diagnosticare ed intervenire su patologie differenti dell’età evolutiva: disturbi del linguaggio, ritardi psicomotori, cognitivi e di sviluppo, disturbi dello spetto autistico ma anche in relazione ai disturbi specifici dell’apprendimento. Il suo ruolo deve essere visto anche come cardine rispetto alla diagnosi differenziale – cioè all’esclusione – di patologie significative.
- Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e neuropsichiatra: quale relazione? Secondo le linee guida che delineano una diagnosi con relativa certificazione diagnostica per Disturbo Specifico dell’Apprendimento (Dislessia, Disgrafia, Disortografia e Discalculia) il neuropsichiatra deve far parte, insieme allo psicologo e al logopedista, dell’equipé autorizzata alla valutazione delle fragilità scolastiche rilevate. Per tale ragione un minore in valutazione per eventuale Disturbo Specifico dell’Apprendimento deve incontrare anche il neuropsichiatra, al fine di escludere eventuali componenti mediche responsabili delle fatiche evidenziate. Con tale obiettivo vengono svolti visita neuropsichiatrica ed esame neurologico privo di strumentazione.
- Curiosità! I primi studi relativi alle patologie neurologiche e psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza, con una relativa evidenziata necessità di intervento specialistico e globale delle stesse, pare risalgano all’Ottocento, anche se in Italia fu necessario attendere il 1930 l’apertura a Genova del primo reparto di neuropsichiatria infantile.
Provo a concludere con un piccolo aneddoto.
<<Era circa novembre dello scorso anno quando ho incontrato i genitori di E. (9 anni) in primo colloquio per disturbo specifico dell’apprendimento. Il colloquio si è svolto in relativa serenità, seppur con tante domande e richieste di delucidazioni che ruotavano intorno alle preoccupazioni per E.Tutto appunto in relativa serenità fino a quando ho proposto (anzi ho dovuto proporre, come da iter diagnostico) la visita neuropsichiatrica, insieme agli altri appuntamenti. La mamma è scoppiata in un pianto a dirotto, implorandomi – nel vero senso della parola – di poter evitare quell’appuntamento. Ho improvvisato. Avevo nella stanza accanto alla mia la collega neuropsichiatrica, che aveva appena terminato una visita e le ho chiesto di entrare a conoscere i genitori. Sono bastate due parole insieme, per far comprendere alla mamma che la collega “non era un pericolo” per E. ma avrebbe svolto semplicemente il suo ruolo. Abbiamo sdrammatizzato alla fine e con me sono diventati promotori della petizione <<cambiamo il nome ai neuropsichiatri>>. E. ha svolto il suo iter valutativo, ha incontrato la collega e seppur con una diagnosi di Dislessia evolutiva, ha lasciato il nostro centro senza nessun trauma, anzi con un grande aiuto per la sua scuola, la scuola che tanto le piace.>>
Consapevole di non avervi neanche questa volta forse convinto a pieno, ma sperando almeno di avervi rasserenato un pochino, riflettendo su altre convinzioni da sfatare, vi rimando, a breve, alla lettura del prossimo articolo.