Mio figlio è un pantofolaio!
Il week end, croce e delizia di ogni famiglia con bambini!
Mio figlio è un pantofolaio!
Gabriele non vuole mai uscire di casa: il sabato e la domenica sta a casa a giocare alla Wii o con i lego. Dopotutto, sta a scuola tutta la settimana, pensano i genitori, il weekend vuole
stare tranquillo. Quando la mamma propone un’attività, come andare ai gonfiabili o al parco, Gabriele si rifiuta, fa i capricci, si arrabbia; a quel punto, se deve diventare un problema, pensano i genitori, meglio stare a casa. Ad un certo punto, però, Gabriele inizia a chiudersi e smette di andare anche ai compleanni o alle gite con gli amici. A questo punto, i genitori iniziano a preoccuparsi.
Stare a casa è un problema? Preferire una domenica pantofolaia alle gite fuori porta ci deve far preoccupare? Tutta la settimana i bambini hanno scuola fino alle 16.30, poi basket, violino, giovedì catechismo e sabato mattina nuoto, la domenica vorranno starsene tranquilli!
Il discorso in realtà è più delicato e complesso di quello che può sembrare a una prima analisi superficiale.
Il presupposto di base da cui dobbiamo partire è che i bambini sono diversi dagli adulti. Certo, questa affermazione letta nero su bianco, al computer, a “freddo”, è scontata; diventa meno banale nel vortice della quotidianità con un bambino delle elementari. Questo è evidente nei momenti di stress, il primo e più comune dei quali è la preparazione mattutina prima di andare a scuola. Gli adulti cercano di ottimizzare i tempi organizzando tutto come un pit stop di formula 1, i bambini possono stare 15 minuti a sistemare il tetto di una macchinina lego che hanno costruito la sera prima.
Possiamo fare lo stesso discorso per il week end: mentre per noi adulti è fondamentale per riposarci e staccare dal lavoro, i nostri figli non hanno l’esigenza di “ricaricarsi” come noi.
Il week end per un bambino
Per un bambino, il week end è un’occasione imperdibile di stare con i propri genitori e fare cose diverse. È un momento dove il tempo è meno strutturato e assume una dimensione diversa, più “elastica”.
D’altra parte, proprio questa dimensione meno strutturata permette di fare cose diverse, e questo è fondamentale per un bambino. Se ci pensiamo, i bambini delle elementari hanno un ritmo di vita estremamente strutturato: vanno a scuola dalle 8.10 alle 16.30, merenda, attività sportiva, cena. I bambini hanno poco controllo su quello che fanno. Mentre un ragazzino delle medie generalmente va a scuola mezza giornata e gli viene lasciato più spazio per iniziare a organizzarsi, un bambino delle elementari fa quello che gli si dice.
Questa “costrizione” ha anche un aspetto positivo per il bambino: non c’è ansia del dover decidere cosa fare o di fare cose nuove. Dopotutto, controllare è una delle strategie più diffuse di gestione dell’ansia, anche per gli adulti: se io “controllo”, so quello che succede e quindi non ho ansia. L’ansia infatti è l’emozione che noi esseri umani abbiamo di fronte a una situazione di incertezza. Non so quello che succederà, temo che andrà male, provo ansia.
Una situazione destrutturata, per definizione, provoca più ansia di una strutturata.
Il week end può essere più ansiogeno di un normale giorno durante la settimana.
Inoltre, durante il week end si fanno attività “nuove”, dove non si sa quello che si andrà a fare, chi si incontrerà e via dicendo. Un conto è andare a scuola dove ci sono gli stessi compagni di classe di sempre, un conto è andare al parchetto dove ci sono bambini sconosciuti.
Attenzione a quando inizia l’evitamento
In questo senso, il week end può diventare una situazione leggermente ansiogena per un bambino. La maggior parte dei bambini, tuttavia, gestisce quest’ansia in modo funzionale e la trasforma in “eccitazione” e voglia di scaricarsi in modo motorio. In alcuni bambini, se c’è una fragilità nella gestione dell’ansia, la situazione di incertezza può portarli a scegliere l’evitamento.
Nella gestione “normale” dell’ansia, infatti, ci sono due poli su cui tutti noi, adulti e bambini, ci spostiamo: da una parte c’è la sicurezza, la familiarità, il calore della propria casa; dall’altra c’è il mondo esterno, con le sue opportunità ma anche i suoi rischi. Una parte antica del nostro cervello vede il mondo come un “posto pericoloso”. D’altronde, questo è quello che ci ha protetti nel corso della nostra evoluzione da 100.000 anni a oggi.
Restare a casa e non uscire vuol dire spostarsi sul primo polo dell’ansia, quello della sicurezza, evitando l’ansia.
Il problema dell’evitamento è che, al momento, permette di gestire l’ansia (banalmente, se evito una situazione ansiogena non ho più ansia perchè non c’è più lo stimolo iniziale dell’ansia), nel medio- lungo termine fa aumentare l’ansia. Infatti, la volta successiva che dovrò affrontare la stessa situazione, la mia ansia sarà maggiore.
Evitare l’evitamento
Nel caso del bambino pantofolaio, bisogna stare attenti a capire da dove viene questa voglia di stare a casa. Se il bambino vuole stare a casa a fare quei giochi che di solito durante la settimana non riesce a fare, non stiamo parlando di ansia. Così come se vuole stare a casa per stare più tempo con i genitori. Se invece pensate che il rifiuto di uscire sia imputabile all’ansia, allora la strategia migliore è quella di insistere con il bambino. Ovviamente, il processo deve essere graduale e deve essere accompagnato dalla comprensione del suo stato d’animo. L’ansia facilmente si trasforma in rabbia e la rabbia in capricci, con la conseguenza di rovinare l’agognato fine settimana.
Se pensate che il rifiuto di uscire di casa di vostro figlio sia causato dall’ansia, anche se leggera, intervenite organizzando esperienze graduali e piacevoli che possano spingere il bambino ad affrontare l’ansia.
Meglio intervenire quando l’ansia è poca e l’evitamento è appena all’inizio.