La relazione terapeutica in psicomotricità
La relazione psicomotoria si crea grazie alla continua attenzione sul proprio e l’altrui linguaggio corporeo. La finalità della terapia psicomotoria è quella di sollecitare l’azione attraverso la comunicazione verbale e soprattutto corporea, instaurando un contatto profondo, ma non invasivo, che rispetta l’intimità altrui.
La relazione terapeutica psicomotoria ha proprie caratteristiche, sebbene possieda delle affinità con relazioni terapeutiche di altre professioni; la disponibilità, l’ascolto del paziente, la sospensione del giudizio, l’attenzione alle sue reazioni e l’empatia, sono caratteristiche senza le quali è difficile instaurare un legame terapeutico.
La relazione psicomotoria è differente da quella della psicoterapia che si basa prevalentemente su scambi verbali e in cui l’attenzione del terapeuta si concentra soprattutto sulle dinamiche emozionali del soggetto. Differisce anche da quella pedagogica e didattica perché non insegna al bambino, ma lo facilita nella sua evoluzione neuropsichica. E’ differente da quella della logopedia che si rivolge ai disturbi del linguaggio e a quella della fisioterapia che sviluppa o ripristina una specifica funzione motoria.
Ogni terapia è dunque differente e la scelta tra una forma terapica e un’altra va effettuata attentamente sulla base del singolo paziente.
Il terapista della neuropsicomotricità utilizza dei sistemi interattivi e di conduzione, ovvero delle modalità di relazione, tipiche della psicomotricità.
Fondamentale è il setting (o scenario) che corrisponde all’ambiente, agli spazi e agli oggetti presenti in stanza. Il bambino è un individuo che desidera prendere informazioni sul mondo esterno, che ha sete di conoscenza e bisogno di agire: conoscenza e movimento sono i due motori principali dell’attività psicomotoria assieme al bisogno del bambino di comunicare all’altro le scoperte che compie durante le sue esperienze. Il setting svolge dunque una funzione molto importante in quanto la stanza di terapia viene esplorata, modificata e sperimentata in base ai bisogni e all’interazione del bambino con il terapista.
Con il termine “mosse” si intendono azioni svolte dal terapista con una finalità ben precisa, ad esempio contenimento, facilitazione o modificazione del comportamento interattivo del bambino. Le mosse sono dunque lievi pressioni esterne a cui il soggetto può reagire spontaneamente e agiscono soprattutto sugli aspetti emotivi. Al contrario, invece, le “attività guidate” sollecitano direttamente e in modo specifico alcune aree funzionali psicomotorie del bambino.
Non esiste un elenco di esercizi psicomotori; l’esercizio vero e proprio è una creazione del terapista che volta per volta lo progetta, lo programma e lo realizza secondo il suo obiettivo, e lo plasma sulle caratteristiche del singolo soggetto.
La maggior parte dei bambini in terapia psicomotoria è emotivamente fragile e insicura e accade spesso che siano poco disponibili a cambiare una loro abitudine comportamentale in quanto comporterebbe uno sforzo eccessivo; il terapista lavora dunque sui punti di forza e si avvale del gioco per raggiungere gli obbiettivi terapeutici.
Bibliografia: Ambrosini, C.; Wille, A.M., Manuale di Terapia Psicomotoria dell’Età Evolutiva, Cuzzolin, Napoli, 2008.
Martina De Santis
Neuropsicomotricista