La fine della scuola ai tempi del coronavirus
Storia di un gruppo di ragazzi di Quinta
La fine della scuola è ormai alle porte. Credo mai come quest’anno sembra essere una data che attendono in tanti, quasi segni la fine di un periodo che ha messo a dura prova organizzazione e tempi quasi surreali. Da entrambi i lati della barricata, come si usa dire, tanto le famiglie quando gli insegnanti, accumunati tutti da uno schermo quasi h24.
Ma da studentessa un tempo, maestra per un periodo e mamma ora la fine della scuola a me evoca anche un tempo di saluto, di abbracci, di iniziative, in un misto di nostalgia e liberazione. E, alla luce di questo turbinio di emozioni, tanto sto ragionando su quanto anche la fine della scuola intensa come “il tempo dei saluti e degli arrivederci” sia segnata dal periodo del COVID-19.
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A chi, come a me, la fine della scuola non evoca queste associazioni? Urla tra i corridoi, pianti davanti ai tabelloni, abbracci tra compagni e anche con insegnanti dai, recite, feste, merende al parco, regali alla maestra, pizzate al ristorante o in giardino? Ma quest’anno pare davvero nulla di tutto ciò sia possibile e fermandoci a pensare, ecco un altro tassello che sembra perdersi nel tempo.
In queste giornate di tanti pensieri, guardando ai miei bambini, sentendo gli studenti e i docenti con cui collaboro, parlando con famiglie e con amici, mi è successa una cosa che mai avrei pensato di vivere nella vita. Non solo per la mia scarsa dote tecnologica ma perché mai avrei immaginato che “mangiare insieme una pizza” potesse divenire virtuale. Ed invece è proprio quello che mi è successo.
La coordinatrice di classe di una quinta superiore di una scuola con cui collaboro come specialista da anni mi ha invitato alla loro “pizzata virtuale” di fine anno, ma non solo… di fine quinta. La fine di cinque anni dai quali non sarà facile accomiatarsi facilmente
. Mi ha invitata per portare ai ragazzi il mio saluto e lasciar loro un pensiero che potesse volgere il loro sguardo al futuro, nonostante il periodo. Mi sono preparata, ci ho riflettuto tanto ma quando è arrivato il momento e mi sono collegata, mai avrei immaginato cosa stavo “per portarmi a casa”. Hanno chiamato me per lasciar loro un pensiero e alla fine sono io che mi sono portata a casa una commozione e una soddisfazione che terrò strette tra i tanti ricordi che hanno segnato questo periodo.
Ed ecco lì in piattaforma, alle 19 di sera di un venerdì come tanti, quasi trenta persone, tra studenti e insegnanti. Tutti pronti, nessuna improvvisazione.
Chi vestito di tutto punto, chi di ritorno dal parrucchiere, di truccata come per la migliore delle serate importanti. Chi in camera propria, chi sul balcone di casa, chi in salotto. Ragazzi “soli” – perché si sa che i genitori – in quinta poi – alle pizzate non vengono invitati, ma docenti con la famiglia, lasciando fare tra le mura di casa un saluto anche da parte della moglie e del marito, con una serenità speciale.
E la pizza, non dimentichiamo che questa non era virtuale: chi l’aveva nel forno a scaldare, chi attendeva che il fattorino suonasse al campanello di casa, chi si era inventato delle mini pizzette per essere più agile. Chi sorseggiava una bibita, chi aveva pronta una birra, che per festeggiare la fine della quinta è concessa.
Nessuna telecamera spenta, come in tante lezioni: tutti volevano vedere e vedersi, per sentirsi realmente vicini.
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Li ho salutati con un augurio grande, per loro, ma pensando in realtà veramente a tutti gli studenti che stanno finendo un anno fondamentale del loro percorso scolastico, in modo inaspettato, facendomi aiutare da qualche citazione.
“Un buon insegnante è colui che si rende progressivamente superfluo” – Thomas Carruthers. C’era reale commozione negli occhi dei docenti che hanno visto sotto i propri occhi, tra sgridate e gratificazione, crescere questi ragazzi. Ma c’era anche la soddisfazione di chi vedendoli maturare era ora pronto a lasciarli andare, con la speranza di aver fatto per loro il meglio possibile, anche coi propri limiti.
“C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà” – Albert Einstein. Ho augurato loro che non manchi mai questa volontà per investire al massimo rincorrendo i propri sogni e le proprie aspirazioni, anche con un periodo alle spalle che sembra in qualche modo aver tarpato le ali. Non vergognandosi di avere paura o di avere la presunzione di non sbagliare mai, perché “La sconfitta non è il peggiore dei fallimenti. Il vero fallimento è non averci provato” – George Edward Woodberry.
Lasciare una scuola nella quale si è cresciuti, cambiati, maturati può far paura. Paura di non fare scelte corrette, paura del non avere certezze, paura del dover rimettersi in gioco da capo, ma tenendo sempre a mente che “Non puoi sempre aspettare il momento giusto. A volte devi avere il coraggio di saltare” così come “Non puoi vivere una favola se ti manca il coraggio di entrare nel bosco” – A. Salvaje qualunque strada verrà intrapresa farà parte del proprio pezzo di storia. Con la sicurezza che alcuni legami non andranno persi e con la speranza che i saluti e gli abbracci che stanno mancando ora possano trovare nel tempo uno spazio per essere recuperati, magari tornando un po’ cresciuti tra quei corridoi di scuola chiassosi, che ora rimbombano solo delle campanelle che suonano da sole ai cambi dell’ora. Per questi ragazzi di quinta, ma per tutti gli studenti che stanno salutando un pezzo importante della propria storia scolastica.