Diagnosi DSA, cosa devo fare?
Un genitore che deve fare la diagnosi DSA per un disturbo dell’apprendimento (i cosiddetti DSA) si trova davanti a informazioni difficili da comprendere, un misto tra “il processo” di Kafka e Asterix e Obelix alle prese con il lasciapassare a38; in questa pagina vi spieghiamo, in modo chiaro, cosa bisogna fare e perché.
Un motivo per questa complessità in realtà c’è: non è facile scoprire un DSA, come molte famiglie e molti docenti (per non parlare dei bambini stessi) se ne son accorti.
Per questa ragione, la regione Lombardia richiede tre specialisti diversi per fare la diagnosi DSA (entreremo nel dettaglio più sotto) che svolgono una serie di test da incrociare e da analizzare; il prodotto finale è una relazione che può portare a una certificazione (più sotto spieghiamo la differenza tra le due).
Quindi, dopo che avete deciso di iniziare la valutazione, cosa dovrete fare in concreto?
L’iter della diagnosi DSA, spiegato
La Regione Lombardia richiede il lavoro incrociato di tre specialisti, lo psicologo, il neuropsichiatra infantile e il logopedista; l’idea è che non si può valutare qualcosa di così complesso attraverso un singolo punto di vista.
Iniziate con il primo colloquio anamnestico.
In questo incontro con i genitori, lo psicologo raccoglie tutte le informazioni sullo sviluppo del bambino e sulla sua storia scolastica. Come è possibile che nessuno si sia accorto prima che Niccolò, in seconda media, sia dislessico? Purtroppo accade, e anche abbastanza spesso. Sfortunatamente riconoscere un DSA è difficile (specialmente se è di grado lieve) e quindi spesso le difficoltà del bambino sono confuse con pigrizia, scarsa voglia di studiare e via dicendo.
Durante il primo colloquio lo psicologo cerca quegli indicatori che fanno pensare a un disturbo dell’apprendimento non riconosciuto e chiede a voi genitori come queste difficoltà hanno influenzato gli altri aspetti della vita del bambino (come l’autostima, il senso di autoefficacia, i rapporti con i compagni e la maestra, per dirne alcuni) a casa e a scuola; dopotutto, l’essere umano non è fatto a compartimenti stagni, se c’è una difficoltà in un ambito, questa influenza in misura diversa anche gli altri.
Dopo il primo colloquio, il bambino inizia con i test veri e propri; il primo è la valutazione neuropsicologica.
Lo psicologo misura il funzionamento cognitivo generale, ossia i punti di forza e di debolezza di tutto quell’insieme di capacità che utilizziamo per risolvere i problemi e per apprendere, come la memoria, la capacità di fare analogie, l’elaborazione delle informazioni , la pianificazione e via dicendo. Questa fase è come un “check up generale” di come il bambino apprende e risolve i problemi.
Può essere venga usato il test WISC, che misura il Quoziente Intellettivo. In breve, il QI non misura l’intelligenza, ma serve per dare un numero a come il bambino funziona in questo preciso momento su alcune specifiche abilità ed è richiesto in alcuni tipi di valutazioni.
Avete fatto la valutazione cognitiva generale, ora è il momento di entrare nello specifico con la valutazione degli apprendimenti.
In questa fase il bambino viene valutato sulle difficoltà specifiche che ha: lettura, scrittura, ortografia o calcolo. Di conseguenza, i test sono diversi, ad esempio lettura di brano per la dislessia o il test sul calcolo per la discalculia, così come diversi sono gli strumenti che il professionista può usare: il logopedista ha diverse frecce nel suo arco, il primo colloquio e la valutazione precedente permettono di capire quale usare e che bersaglio colpire.
Infine, il medico neuropsichiatra esegue la valutazione neuropsichiatrica.
L’obiettivo della visita è escludere che le difficoltà del bambino siano di origine fisiologica; il medico incontra il bambino e la famiglia e, martelletto alla mano, svolge l’esame clinico.
A questo punto è finita la fase dei test: i professionisti si riuniscono in un’equipe multidisciplinare, mettono assieme i pezzi del puzzle e compongono il quadro di insieme del bambino.
L’ultimo incontro è il colloquio di restituzione, durante il quale lo psicologo informa e spiega alla famiglia i risultati ottenuti dalla valutazione.
Il prodotto finale è la relazione in cui è illustrato in modo molto preciso il profilo dell’apprendimento del bambino, con i punti di forza e i punti di debolezza; si tratta di una fotografia a 360° di come apprende il bambino, non una semplice “x” sulla casella “dislessia”.
Se i numeri dei risultati rientrano nei criteri stabiliti dalla conferenza della dislessia allora la relazione diventa anche una certificazione. Noi, al centro Ieled, siamo autorizzati con l’equipe n. 72 della Asl di Milano per emettere certificazione che ha pieno valore legale, ossia l’equivalente diagnostico del famoso “bollino blu”.
Approfondisci nel Blog: “Come leggere una diagnosi DSA“
E dopo la diagnosi DSA?
Durante la restituzione lo psicologo vi spiega quali sono i passi da effettuare ora che la valutazione è finita, perché per noi di Ieled la diagnosi è il punto di partenza per aiutare il bambino, non un traguardo da raggiungere.
A seconda delle vostre disponibilità logistiche e di tempo, le strade che si aprono sono diverse, a diversi livelli.
- A un primo livello, il centro prende contatto con la scuola (ovviamente previo consenso della famiglia) per spiegare in dettaglio il profilo di apprendimento del bambino e concordare le strategie più adatte da inserire nel Piano Didattico Personalizzato
Approfondisci nel Blog: “Strumenti compensativi e dispensativi: cosa sono?“
- Un secondo livello consiste nel creare un piano di trattamento o di riabilitazione con il bambino; il tipo specifico di lavoro dipenderà da quello emerso dalla valutazione, tra i quali logopedia, trattamento metacognitivo, eccetera.
Come abbiamo visto, il processo per una diagnosi DSA è lungo, perché è difficile riconoscere un DSA, ed è importante non sbagliare la diagnosi.
Se avete bisogno di una diagnosi DSA accurata, approfondita e in tempi rapidi a Milano, Meda, Rho o Pavia prenotate una visita con i nostri professionisti.
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