I “no” che aiutano a crescere
Spesso non riusciamo a dire “no” per paura di ferire i nostri figli, di apparire poco disponibili o perché abbiamo timore del conflitto. Eppure i “no” sono fondamentali per la crescita del bambino. Analizzando la letteratura emergono diverse motivazioni sulle difficoltà che incontrano i genitori a dire di no, alcune di natura personale, altre legate alle trasformazioni di natura storica, sociologica e culturale.
Oggi giorno ci troviamo a fare i conti con l’idea che l’ambiente familiare debba essere caratterizzato da armonia affettiva, benessere, felicità e che genitori e figli debbano essere “perfetti”. Questa idea, emersa nel novecento, nasce dopo secoli di relazioni familiari dove i rapporti erano regolati da un’impostazione paterna di stampo autoritario: il padre comandava, puniva, stabiliva in maniera insindacabile i sì e i no. Una volta finita l’epoca autoritaria la prospettiva è diventata quella più di stampo materno: basata sull’accudimento, la cura e il figlio al centro. L’attenzione a salvaguardare tutti gli aspetti della crescita è diventata preponderante al punto tale che si è realizzata una sorta di “supremazia” del figlio sul genitore, che abdica al proprio ruolo educativo per timore di farlo soffrire, procurare qualche danno allo sviluppo, ma soprattutto per timore del conflitto.
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Le mamme e i papà di oggi temono spesso che il “no” possa compromettere la relazione con i figli, hanno paura di entrare in conflitto con loro, fanno fatica a gestire la solitudine che deriva dal dire “no”. Le relazioni conflittuali implicano un elemento di separazione, di distanza.
Saper dire di no è invece fondamentale per uno sviluppo sano.
Vediamo allora quali sono i no che, a seconda dell’età dello sviluppo, rispondono a precise esigenze di crescita e individuazione:
- nella prima infanzia il no è quello del divieto: in questa fase del ciclo di vita il bambino inizia a conoscere ed esplorare il mondo, a incontrare i primi pericoli e ad agire i primi comportamenti che vanno educati. Questi no, detti in modo immediato, chiaro e rassicurante aiutano i pargoli a costruirsi una mappa di riferimento per potersi muovere nello spazio. Sono semplici, privi di complicazioni e non necessitano di spiegazioni.
- Tra la prima e la seconda infanzia i no sono quelli del limite: in questa fase del ciclo di vita, caratterizzata da una progressiva centratura sul sé del bambino, i no servono a contenere la sensazione di onnipotenza sul mondo. Sono no che generano frustrazione e che sono quindi fondamentali per aiutare i bambini a cogliere i limiti delle proprie possibilità e attivare nuove competenze e abilità. Imparare a gestire la frustrazione che nasce dall’incontro con l’altro è un’abilità fondamentale e protettiva per il futuro.
- Nella seconda infanzia e nella preadolescenza il no è quello della regola: è un no che consente al preadolescente di orientarsi nel mondo. E’ un no più complesso dei precedenti, che punta all’autonomia. Spesso si pensa erroneamente che le regole siano dei limiti alla libertà personale, quando invece, ogni volta che diamo una regola, creiamo uno spazio di separazione e definiamo degli ambiti di possibile esercizio della libertà, consentendo lo sviluppo dell’autonomia.
- Nell’adolescenza il no è quello della resistenza: è un no che serve all’adolescente per aiutarlo a scoprire e portare avanti il proprio progetto di vita. E’ un no che aiuta il ragazzo a mettere dei filtri che consentono, da una lato che la spinta verso l’autonomia non diventi una fuga da se stessi, dall’altro per aiutarli ad avere consapevolezza di quello che stanno facendo. E’ un no difficile da dire perché si manifesta spesso attraverso la conflittualità e richiede coraggio e capacità di ascoltare autenticamente i figli. Non possono esserci dei no imposti ma occorre una negoziazione e la capacità di lasciare andare.
Una volta compresi i benefici del saper dire di no ai propri figli, vediamo ora quali sono le paure che possono ostacolare o rendere complessa questa capacità:
- al primo posto la paura di far soffrire i figli, confondendo sofferenza con frustrazione;
- al secondo posto la paura di apparire poco disponibile;
- al terzo posto la paura di fare un’esperienza di separazione, soprattutto quando il legame è molto intenso.
In conclusione è di fondamentale importanza comprendere che, se ben utilizzato, il “no”, al pari del “sì”, costituisce un aiuto prezioso per il bambino. Un divieto giusto e intelligente può infatti rappresentare un sostegno nell’esercizio della libertà individuale e aiutare il piccolo e l’adolescente a sviluppare la capacità di tollerare la frustrazione, senza che il tutto pregiudichi la qualità della relazione.
Nel dire di no un ruolo fondamentale è assunto dalle strategie comunicative che vengono utilizzate. Può sembrare difficile mantenere un certo controllo espressivo in determinate situazioni, ma è bene tener presente che una voce calma ma ferma e decisa è assai più efficace di qualsiasi sgridata. Così facendo diamo la possibilità al bambino di ascoltare con attenzione ciò che diciamo, trasmettendo contemporaneamente tutta la serietà del messaggio mediante il tono di voce utilizzato. Occorre ricordare che quello pronunciato deve essere sempre un “no” a uno specifico comportamento/richiesta, e mai alla relazione. Salvaguardare il legame con il bambino, anche nelle situazioni di stress o di conflitto, permette di mantenere attivo quel collegamento a lui indispensabile per sentirsi compreso (pur se “ostacolato”) e di superare così la frustrazione momentanea, nella certezza di essere sempre amato.
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