Dsa fuori dai banchi di scuola: prima della diagnosi
Comprendere cosa accada nella testa delle persone è già un mestiere arduo, cercare di farlo con la testolina di un bambino a volte sembra impossibile…
Tuttavia i bambini hanno il loro linguaggio (verbale e non) che ci permette di decifrare alcuni aspetti del loro vissuto interno. Nel corso degli anni e dell’esperienza si è riusciti a capire qualcosa di più su come i bambini DSA vivono il loro percorso di “scoperta di sé stessi”.
In questo articolo vorrei focalizzarmi sullo stato d’animo dei bambini DSA in quegli anni, prima della diagnosi, dove si cimentano, solitari ed affaticati, nell’arduo mondo della lettura e della scrittura.
Com’è la vita “prima della diagnosi”
Nel piccolo e complesso mondo di un bambino la vita all’interno della scuola rappresenta la maggior parte del suo tempo ed uno dei suo primi metri di giudizio. Il riscontro che si riceve dalle insegnanti è il primo giudizio che un bambino riceve al di fuori del suo nucleo familiare, il paragone con i coetanei non viene più fatto su parametri fisici come correre più veloce, arrampicarsi più in alto, catturare una lucertola ma bensì su aspetti più intellettuali: leggere, scrivere, ripetere la poesia a memoria, sapere le tabelline… I bambini DSA si sentono fallire in questo, non si sentono all’altezza della prima vera sfida della loro vita: la scuola. Nella mente semplice e lineare di un bambino non riuscire bene a scuola ha un unico e solo significato: sono stupido o non sono bravo abbastanza. E’ un’equazione lineare per loro perché non conoscono altre alternative.
A confermare questo costrutto son i compagni o a volte le insegnanti che, involontariamente, etichettano il bambino come “pigro”, “svogliato”. Questo pensiero viene piano piano cristallizzato nella mente di un bimbo e, il più delle volte, generalizzato. Difficilmente un bambino riesce a fare la distinzione di poter essere un bimbo brillante ma con alcune carenze specifiche che gli impediscono di avere buoni voti. Potete capire come questo generi un senso di frustrazione generalizzato, un senso di scarsa efficacia che rischia di fargli vivere ogni ostacolo della sua vita con il pensiero: tanto andrà male. Di conseguenza, l’ansia da prestazione aumenta, il senso di autoefficacia diminuisce e la probabilità di fallire nuovamente si moltiplica con chiari effetti negativi sull’autostima.
Cosa cambia dopo la diagnosi
Ecco quindi che il momento della diagnosi per un bambino può essere vissuta con sollievo, può essere un momento dove finalmente prende consapevolezza del perché fino ad oggi non è riuscito a prendere dei bei voti. Finalmente capisce che non è pigro, svogliato o stupido come spesso gli adulti gli dicono essere. Il momento della diagnosi viene spesso vissuto da un genitore con sentimenti negativi ma dobbiamo ricordare loro che per molti bambini avviene il contrario: è la fine di un periodo dove si sono sentiti ingiustamente inadeguati, falliti, stupidi. E’ la fine di un periodo dove hanno faticato silenziosamente senza ottenere risultati. E’ la fine di un pensiero negativo su se stessi perché comprendono che quel bambino che si hanno pensato di essere in realtà non lo sono.