Cosa si intende per “BES”? Fare ordine tra le sigle – Parte Prima
“Abbiamo fatto fare a nostro figlio una valutazione per eventuale DSA… Ci hanno però consigliato di inserirlo nei BES.”
“Le insegnanti della scuola di mio figlio ci hanno proposto un PDP… sembra vedano in lui un bisogno che noi non coglievamo fino ad ora… come dobbiamo comportarci?”
“Ho in classe 3 ragazzi DSA e 5 studenti con un PDP per BES: come posso organizzare al meglio il programma?”
Quante le domande che trapelano tra i corridoi delle scuole…
DSA, DVA, FIL, BES … e ancora POF, PDP, PEI, GLI. Di cosa si parla realmente? Come dare il giusto significato?
E’ ormai noto che oggigiorno la scuola sta vivendo una serie di cambiamenti legislativi, che hanno portato all’introduzione di sigle, tra le quali diventa complesso talvolta fare ordine.
Se da una parte per i professionisti può risultare tutto lineare, per chi vive la scuola in prima persona – docenti, famiglie ma ancor più per gli studenti – scontrarsi con una diagnosi e con ciò che ne consegue può risultare davvero il più delle volte uno stravolgimento.
Proviamo a fare una prima distinzione: BES non equivale sempre a DSA.
L’acronimo DSA indica ormai comunemente la diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento, una categoria diagnostica che comprende diversi disturbi – di grado differente –, riguardanti nello specifico la compromissione dell’abilità di lettura (Dislessia), di scrittura (Disgrafia), di competenza ortografica (Disortografia) e di competenza logico-matematica (Discalculia).
La loro valutazione e successiva identificazione porta ad una diagnosi e quindi ad una Certificazione valida ai fini scolastici, secondo la Legge 170/2010. Tale percorso valutativo può essere svolto solo da un’Equipe, composta da psicologi, neuropsichiatri infantili e logopedisti, accreditata presso la propria ASL di riferimento. A seguito di tale diagnosi la famiglia potrà decidere di condividere il percorso svolto con la scuola, che sarà tenuta di conseguenza alla stesura di un PDP (Piano Didattico Personalizzato), nel quale verranno esplicitati gli obiettivi stilati in modo individuale sullo studente, che potrà svolgere il normale percorso scolastico, usufruendo di quelle che vengono chiamate nello specifico “misure compensative e dispensative”, atte a supportare gli apprendimenti. Tutto più comprensibile con un’analogia: “evitereste di far indossare un paio di occhiali a chi non vede bene?”.
DSA e BES non sono dunque la stessa cosa?
E’ possibile affermare di “no”, dal momento che i BES, oltre agli studenti DSA, includono altre tipologie di svantaggi per i quali non è prevista una diagnosi vera e propria, ma per i quali è invece previsto un intervento didattico che garantisca la loro inclusione e il loro diritto allo studio.
Nell specifico con il termine BES si fa riferimento a tutti quei “Bisogni Educativi Speciali” mostrati da tutti quegli studenti che presentano particolari difficoltà, tali da richiedre interventi individualizzati, personalizzati e mirati, non necessariamente supportati da una diagnosi medica e/o psicologica. Non si riferiscono pertanto necessariamente a cause specifiche e anche per tale ragione possono essere “temporanei”, per cui non stabili nel tempo.
Quindi cosa si intende realmente per BES?
Differentemente da ciò che abbiamo definito DSA, il termine BES indica “Bisogni Educativi Speciali”, una categoria definibile “scolastica”. Questi non sono riconducibili ad un disturbo e non rappresentano pertanto una categoria diagnostica. Si basano sul presupposto che qualunque studente, nel corso del proprio percorso di studi, può manifestare un bisogno speciale – anche temporaneo -, che la scuola non può non accogliere.
Facendo un passo indietro, nella storia, i Bisogni Educativi Speciali, vengono definiti per la prima volta nel 1978, quando un rapporto inglese, noto come “Rapporto Warnock” utilizza tale termine con l’intento di superare la dicotomia presente tra disabile e normodotato.
Il rapporto sui BES
“E’ impossibile stabilire con precisione che cosa sia un handicap. … La complessità dei bisogni individuali è più complessa di questa dicotomia. Inoltre, descrivere qualcuno come handicappato non dice nulla del tipo di supporto educativo di cui ha bisogno e pertanto del tipo di istruzione di cui necessita. Noi vorremmo vedere un approccio più positivo e pertanto abbiamo adottato il concetto di bisogno educativo speciale, visto non in termini di un particolare tipo di disabilità che un alunno può avere ma prendendo in considerazione l’alunno nella sua interezza, con le sue abilità e disabilità”.
In Italia, invece, bisognerà attendere il 2012, quando con la Direttiva del 27/12/2012 vengono ufficializzati i BES nelle scuole italiane (anni dopo, quindi, rispetto all’Europa, dove con la Dichiarazione dell’Unesco vengono riconosciuti a livello internazionale nel 1994).
Cosa dice a riguardo la Normativa?
Secondo la C.M. n° 8 del 6 marzo 2013 i Bisogni Educativi Speciali possono essere distinti in 3 diverse tipologie e quindi comprendere (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/index0313):
- Studenti appartenenti a culture differenti, ad esempio con fatiche riguardanti la conoscenza della cultura e della lingua del Paese di riferimento scolastico.
- Studenti con specifici disturbi evolutivi e/o specifici disturbi di apprendimento.
- Studenti con svantaggio linguistico, economico, culturale o sociale.
Tale normativa prevede, basandosi sui principi della Legge 53/2003, il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, basando quest’ultimo sull’individuazione del bisogno formativo e personale dello studente. La stessa recita:
“Nella quotidiana esperienza didattica si riscontrano momenti di difficoltà nel processo di apprendimento, che possono essere osservati per periodi temporanei in ciascun alunno. E’ dato poi riscontrare difficoltà che hanno carattere più stabile o comunque, per le concause che le determinano, presentano un maggior grado di complessità e richiedono notevole impegno affinché siano correttamente affrontate.
Il disturbo di apprendimento ha invece carattere permanente e base neurobiologica. La scuola può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la convenienza; pertanto la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato.
La Direttiva ha voluto in primo luogo fornire tutela a tutte quelle situazioni in cui è presente un disturbo clinicamente fondato, diagnosticabile ma non ricadente nelle previsioni della Legge 104/92 né in quella della Legge 170/2010. In secondo luogo, si sono volute ricomprendere altre situazioni che si pongono comunque oltre l’ordinaria difficoltà di apprendimento, per le quali dagli stessi insegnanti sono stati richiesti strumenti di flessibilità da impiegare nell’azione educativo-didattica.” (Nota n. 2563 del 22/11/2013).
Partendo da questi presupposti sono i docenti, spesso in prima persona, ad essere investiti di un ruolo cardine: individuare i Bisogni Educativi Speciali dei propri studenti, da condividere poi con l’intero Consiglio di Classe, che lavorerà in accordo con il GLI (Gruppo di Lavoro per l’inclusione) dell’Istituto, al fine di promuovere il percorso scolastico dei ragazzi, individuando obiettivi individualizzati, che andranno racchiusi nella stesura di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che andrà condiviso e fatto sottoscrivere alla famiglia