Come dire a mio figlio che è dislessico
Ci siamo detti più volte nel corso degli articoli precedenti che essere DSA sicuramente non è una passeggiata, sicuramente nessuno, se potesse, sceglierebbe di esserlo. Essere DSA vuol dire imparare (e accettare) che si può ottenere tutto nella vita ma con più fatica. Essere DSA ti tempra fin da giovane ad impegnarti, faticare, trovare strategie secondarie per aggirare il problema e resistere alle frustrazioni. Dunque ha molti aspetti negativi ma alcuni anche positivi anche se a volte riconoscibili solo in età più adulta.
Il problema di come comunicare la diagnosi a proprio figlio non è semplice e va adeguata ad ogni singolo bambino. Ci sono però alcuni accorgimenti e delle cose che devono essere sempre bene in mente ai genitori:
Vostro figlio era a conoscenza prima di voi che qualcosa non andava. I bimbi se ne accorgono subito, percepiscono di non essere tanto bravi, di non essere come il compagno di banco, di ricevere voti più brutti, di impegnarsi troppo e non riuscire, di ricevere meno complimenti dalle maestre (potrei andare avanti molto). I bambini lo sanno prima di noi ma non sanno COSA hanno. Il nostro compito è proprio questo: spiegare loro che cosa hanno e non che hanno qualcosa perché questo loro lo sanno già.
Comunicare loro in modo tranquillo. I bimbi imparano a provare le emozioni anche su modellamento perciò se voi gli spiegate che è dislessico e nel mentre piangete o siete ansiosi loro attribuiranno un’emozione ed un pensiero negativo alla cosa.
Fatelo sentire capito e visto. I bimbi spesso si portano dietro questo vissuto perché sono stati etichettati come pigri e svogliati. Finalmente avete capito di cosa si tratta. Dite loro che avete capito, che non era pigro ma il problema era un altro.
Ripetetegli fino allo sfinimento che non è stupido. Loro sono cresciuti con questa convinzione. Non lo sono. Non fategli nemmeno credere di essere dei geni perché non sono nemmeno quello. Sono intelligenti tanto quanto gli altri bambini.
Tranquillizzatelo dicendogli che adesso che avete capito si può intervenire per alleggerirlo dalle fatiche che fino ad oggi ha provato.
Non giustificatelo troppo. Non fate nemmeno l’errore di scusarlo per ogni brutto voto, per ogni fallimento scolastico. Alcuni bimbi sono più furbi di altri e potrebbero approfittarsene. Il messaggio che deve passare è che essere un DSA non ti giustifica ad andare male a scuola, con gli strumenti che ti forniamo sei in grado, come tutti gli altri bambini, di prendere dei bei voti.
Rispecchiatevi. I DSA sono disturbi che corrono all’interno delle famiglie, la probabilità che uno dei due genitori si riveda nel proprio figlio DSA è alta. Se così fosse, condividetelo con il bambino, aiuterà a farlo sentire capito e meno solo.
Ora proviamo a rispondere alla frequente domanda di CHI deve comunicarlo?
Qui ogni clinico ha il suo stile ed il suo punto di vista. Io reputo che sia utile, in linea generale, che il bambino senta l’esito del percorso che ha effettuato sia da una voce familiare: il genitore, che da un estraneo: il terapista. Il bambino ha bisogno che il genitore lo tranquillizzi, ha bisogno di percepire la propria mamma serena, ha bisogno di vedere con i suoi occhi che la mamma non pensa che sia stupido o pigro ecc… ma a volte non basta. Sentire pronunciare dai propri genitori che mi vogliono bene che sono bello, bravo e intelligente può non essere efficace, la mamma e il papà lo dicono sempre e lo dicono solo perché mi vogliono bene. Ci credono ma in cuor loro sospettano che lo dicano solo perché gli vogliono bene. Sentirsele dire invece da una persona fuori dalle parti, estranea ha un impatto molto più grande e spesso i bimbi riescono a crederci di più.
Il vero “mostro” in questa storia è la confusione che i bambini si portano dentro da anni. Non abbiate timore della luce.